Per capire l’entità delle agroforeste in Italia, Deafal ha condotto un’indagine delle realtà esistenti per comprenderne le caratteristiche, l’impatto ecologico e sociale e le tante peculiarità. Questa serie di interviste nasce dalla volontà di raccontare alcuni dei progetti incontrati, come sono nati, cosa li caratterizza e il loro rapporto con il territorio e le persone che li circondano.
In questa intervista STEFANIA e SALVATORE ci parlano del progetto agroforestale dell’azienda agricola TENUTE IL MAGGESE.
com’è nato il vostro progetto agroforestale e come vi identificate nella definizione di: “Impresa femminile custode di antiche varietà di grano e legumi in un sistema agroforestale”?
[Stefania] L’azienda è nata dodici anni fa, inizialmente non conoscevo ancora Salvatore. Ho iniziato coltivando foraggio per gli animali con l’aiuto di mio padre nell’azienda di famiglia che si tramanda da tre generazioni e che si estende per 15 ettari. Ho sempre avuto il sogno di coltivare grano, di aprire un agriturismo e di vendere i miei prodotti. Tutto ciò è stato possibile dopo aver conosciuto Salvatore. Lui condivideva la mia stessa passione e ci siamo uniti.
[Salvatore] Un’unione di intenti. Abbiamo cominciato ispirati dalla “rivoluzione del filo di paglia”, quindi con una visione un po’ romantica di agricoltura. Purtroppo però, ci siamo scontrati con la difficile realtà della Sardegna, dove non abbiamo più abbastanza fertilità per produrre. I suoli sono degradati, soprattutto a causa delle pratiche tradizionali di pascolo brado, effettuate nell’ultima generazione, che depauperano ulteriormente il suolo. Le pecore, infatti, scelgono le leguminose, che di conseguenza vengono a mancare, favorendo la diffusione di altre piante come graminacee, cardi e asfodelo, andando a provocare uno sbilanciamento delle piante che colonizzano il terreno. Siamo così passati dal sperare romanticamente di poter semplicemente coltivare il grano con una rotazione quadriennale, al renderci conto che spesso non si riuscivano neanche a pagare le spese. Coltivando grani antichi, siamo arrivati ad avere 40 varietà diverse, ma con rese bassissime, a volte persino solo sei o sette quintali a ettaro. Per questo abbiamo cominciato a studiare alternative per migliorare la fertilità del nostro suolo. Abbiamo introdotto nelle diverse rotazioni un anno di riposo totale, quindi proprio il maggese, abbiamo iniziato a fare sovesci, e a utilizzare dei ceci antichi nella rotazione, ma ci siamo resi conto che non bastava.
Quando siamo arrivati a scoprire i sistemi agroforestali e l’accelerazione che si può avere nel restituire fertilità al suolo, abbiamo detto: “Questa è la nostra strada”.
Non essendo in grado di acquistare tutto ciò di cui avevamo bisogno, ci siamo appoggiati a un’agenzia di ecoturismo che ci manda viaggiatori sensibili, che credono seriamente nel voler sostenere un territorio e nel voler ridurre l’impronta di viaggio, i quali ci danno un’offerta per comprare degli alberi e noi li piantiamo insieme a loro. In questo modo loro fanno un’esperienza e noi continuiamo a far espandere il nostro sistema agroforestale che cresce sempre di più. Nella tenuta principale dei 15 ettari abbiamo cominciato a piantare gli alberi dalla parte più alta, che è anche la parte più degradata perché dilavata dalle piogge. Abbiamo cominciato a piantare sulla curva di livello cercando di trattenere più acqua possibile, facendola infiltrare grazie alle linee agroforestali.
Da quali esigenze e obiettivi è nata l’idea di implementare un progetto agroforestale, rispetto a un sistema più tradizionale?
Stiamo cercando di riparare ai danni degli ultimi cento anni, con la speranza di poter vivere un periodo di maggior fertilità del suolo grazie alla agroforestazione, riportando a un buon livello di humus i nostri suoli. La tecnica dell’agroforestazione ci ha convinti che, nel giro di 10-15 anni, riusciremo a vedere già qualche risultato. Oggettivamente, se lasciassimo fare alla natura, la terra riuscirebbe a ripararsi da sola, ma ciò avverrebbe in tempi talmente lunghi da non poterne vedere i frutti nella limitatezza della vita umana. I sistemi agroforestali ci hanno dato questa speranza: la possibilità di riparare ai 100 anni di degrado del suolo, rigenerandolo in soli 10-20 anni. Questo è il nostro obiettivo.
Come sono cambiati e come si sono evoluti nel tempo i vostri obiettivi e i vostri bisogni rispetto al punto di partenza?
Ci siamo resi conto che il nostro obiettivo, vale a dire riuscire a vivere di sola agricoltura, non è ancora stato raggiunto. Per riuscirci dobbiamo integrare in uno spazio limitato più produzioni. Questo è un ulteriore vantaggio che ci dà il sistema agroforestale, perché, oltre alle coltivazioni estensive dei seminativi, stiamo piantando alberi di mandorlo, tradizionalmente tipico di questa zona e abbastanza resistente all’aridità. Siamo in una zona della Sardegna dove piove poco, poiché il monte più alto, il Gennargentu, blocca le nuvole che si fermano dall’altro lato dell’isola.
Per questo motivo stiamo cercando di migliorare la quantità di humus, così da poter trattenere meglio la poca acqua che ci arriva, scegliendo piante che riescono a resistere bene a questo tipo di clima come mandorlo, noce e noce pecan. Quest’ultima, pur non essendo autoctona, è più resistente all’arido rispetto al noce comune. Questi sono i focus produttivi intorno ai quali ruoteranno tutte le piante da supporto e le aromatiche che ci aiuteranno nella produzione nei primi anni quando non si raccoglie altro a livello agroforestale.
L’obiettivo finale resta comunque quello di raggiungere l’indipendenza economica e alimentare.
Rispetto all’estensione fisica del sistema agroforestale, c’è l’intenzione di espanderla?
Sì. Nella nostra zona siamo forse gli unici a praticare sistemi agroforestali, ma stiamo coinvolgendo altri contadini. Abbiamo organizzato diversi corsi nella nostra azienda agricola, in modo da permettere alle persone del posto di apprendere le tecniche agroforestali. Inoltre per noi è stata un’occasione per piantare tanti alberi in poco tempo, con tanta forza lavoro. In ogni caso, il nostro sistema agroforestale è ancora al 10% di quello che potremmo sviluppare, c’è tantissimo ancora da piantare e quindi è assolutamente in espansione. Vogliamo agroforestare tutto quello che è possibile nella nostra azienda agricola, coinvolgere anche altri contadini della zona e i turisti.
Che impatto ha avuto il progetto agroforestale sul territorio e come è stato percepito da aziende limitrofe, istituzioni e cittadinanza? ComE si è evoluto il rapporto e l’impatto durante questi anni?
Inizialmente c’era un po’ di diffidenza, ci hanno un po’ ignorato, pensavano che fosse una trovata pubblicitaria o un qualcosa fatto solo per emergere dal punto di vista mediatico. Anche i giornalisti di questa zona, inizialmente, non ci hanno considerato particolarmente. In seguito, grazie anche all’Agenzia di Ecoturismo che ci manda i viaggiatori, è venuta una giornalista di una televisione locale e da lì le persone hanno cominciato a cercare informazioni su internet, scoprendo che quella che utilizziamo è una tecnica consolidata e non inventata da noi.
Pian piano, attraverso i corsi che abbiamo organizzato e attraverso la stampa, siamo riusciti a far passare il messaggio, al punto che l’anno scorso, per l’altra piantumazione che abbiamo fatto, è venuta anche l’assessore al turismo del Comune di Tortolì insieme ad altri tre assessori.
Chiaramente vogliamo creare un posto che sia gradevole per le persone, per stare al fresco, dove si può venire a studiare, a leggere o a riposarsi. Uno dei bisogni fondamentali in un posto così, dove l’estate riscalda tanto, è anche quello di creare ombra e posti che siano abitabili, poiché le persone hanno sempre più voglia di stare a contatto con la natura, in campagna.
RACCONTATECI qualche aneddoto interessante accadutO nell’agroforesta
Molte persone ci dicono che non sarebbero mai venute in Sardegna se non avessero avuto la possibilità di piantare gli alberi. Altre ci hanno detto che la possibilità di lasciare qualcosa di tangibile nel territorio, il “fare un po’ la loro parte”, è stato un dato fondamentale nello scegliere la nostra zona come meta turistica. Inoltre, i bambini ne restano impressionati e veramente innamorati. Sono venute delle piccole scuole, degli asili a fare un’esperienza con noi, a piantare le piante aromatiche. Ai bambini abbiamo raccontato una fiaba, dove le radici sono come il principe azzurro che risveglia i microrganismi nel suolo. Quindi andare a piantare tutte queste erbe aromatiche per loro era un po’ come andare a mettere i principi azzurri sul suolo per andarlo a risvegliare.
Ci sono o ci sono state forme di supporto economico per il sostegno alla piantumazione, al di là delle varie iniziative chE avete descritto?
Non abbiamo mai avuto nessun tipo di aiuto a parte le PAC. Gli aiuti arrivano tutti, per quanto riguarda l’agroforestazione, da privati che coinvolgiamo con diverse associazioni, amici che vengono fisicamente con un albero, oppure per i compleanni e anche per la nascita di Ginevra tutti ci hanno voluto regalare alberi, poiché sanno che è una cosa che apprezziamo. Ci sono state diverse associazioni che nel tempo ci hanno donato cifre, per esempio tagli da 400-500 euro, che si convertono in 300/400 alberi per volta da piantare. Tutto quello che è autoctono lo prendiamo a dei prezzi abbastanza accessibili da Forestas, un vivaio regionale che produce in fitocella piantine piccole o da talea o da seme.
C’è qualche tecnica particolare, tradizionale, agronomica o architettonica che portatE avanti, che viene tramandata?
Per quanto riguarda l’architettura, abbiamo ripreso il piccolo rudere nella valle dell’azienda agricola, che era la casetta dove il pastore stava vicino al gregge, e l’abbiamo ristrutturato con la terra cruda del posto. Abbiamo fatto anche un corso apposito su questo. A livello agricolo, abbiamo un approccio permaculturale, quindi stiamo cercando di integrare nel paesaggio già esistente, per esempio nelle piante d’olivastro, che nel tempo vogliamo valorizzare per produrne l’olio. Stiamo reinnestando anche piante di pero selvatico con varietà antiche di pere tradizionali. Tutto quello che è presente sul nostro terreno, anche a costo di spostare di mezzo metro la fila agroforestale rispetto al progetto, viene integrato. Stiamo cercando di reinserire il mandorlo che è sempre stato coltivato al fianco dei campi di grano.
Ci avete segnalato la presenza di aree dal forte valore simbolico, anche valore spirituale. Quali sono?
Ci troviamo in Sardegna, una regione dove i siti archeologici si trovano praticamente ogni 2-3 Km. Il nome stesso della nostra azienda agricola richiama la magia: il toponimo è “magia sedi”. Vicino a noi ci sono le tombe dei giganti, le “domus de janas” ovvero le case delle fate, che potevano essere usate come tombe funerarie, ma anche per dei rituali. Ci sono diversi “nuraghes”, quindi è una zona particolarmente ricca di storia nuragica e successivamente anche romana.
Sicuramente da questo punto di vista è molto particolare. Ci sono anche delle creste naturali di porfido rosso tutte attorno alla nostra azienda agricola, e verso sud c’è un altopiano che era un vulcano spento. Questa è una zona veramente ricchissima dal punto di vista della natura e di quanto ti trasmette. I siti archeologici sono luoghi dove ci sono delle energie molto particolari, dove si può andare a meditare, dove si possono fare delle esperienze sensoriali veramente di qualità.
Avete animali nella vostra azienda?
Noi, per adesso, abbiamo deciso di non portare nessun tipo di animale in azienda proprio per una questione di ripresa del suolo. Nel momento in cui avremo stabilizzato il sistema agroforestale e quindi ci sarà abbondanza pensiamo di integrare con animali da cortile. In questo momento è ancora tutto molto delicato. Spesso quando si introducono gli animali si fa tutto per loro e l’agricoltura viene lasciata un po’ da parte. Perciò prima dobbiamo riuscire a stabilizzare il sistema e avere abbastanza produzione in modo da avere esubero, come può essere anche la crusca del grano, gli scarti della pulizia dei semi quando vengono vagliati e foglie di alberi che si possono potare. A quel punto potremo inserire prima gli animali da cortile e poi gli animali più grandi, però è un passaggio lento.
Dal momento in cui abbiamo cominciato a piantare alberi e a tenere un po’ di acqua disponibile, grazie agli impianti di irrigazione a goccia che abbiamo costruito, si sono riavvicinati i cinghiali, sono tornati gli uccelli, diverse bisce grosse, e persino le rane. Una volta che è arrivata l’acqua, gli alberi e l’ombra, sono arrivati anche gli animali selvatici e questo per noi è stato davvero bellissimo, poiché prima era tutto silenzioso e poco movimentato.
Ci potete spiegare l’esperienza “Dal grano alla pasta”?
Nei primi anni abbiamo comprato un micro mulino a pietra domestico e macinavamo per noi e per i vicini di casa 10 kg per volta. Da una decina d’anni siamo arrivati a produrre qualche tonnellata di grano, per questo da sei anni andiamo a macinare in un antico mulino a pietra che sta al centro della Sardegna, a Samugheo, dove facciamo la semola e la farina. La farina viene utilizzata sia per fare focacce, pani, la pizza in casa e così via, mentre la semola per lo più viene utilizzata per fare la pasta secca. Quest’ultima la facciamo fare da un pastaio vicino a noi, ad Arzana, che ha anche il vantaggio di avere ancora l’acqua di sorgente. Quindi con acqua buona, aria buona, grano buono e la trafila in bronzo viene fuori una pasta eccellente.
L’idea è sempre quella di instaurare rapporti nel territorio e collaborazioni, quindi noi con il mugnaio e con il pastaio siamo diventati amici, partner e quindi ci sosteniamo. Abbiamo già qualche famiglia che consuma solo la nostra pasta, con degli abbonamenti. Molti ci danno una quota all’anno in anticipo e poi ogni pastificazione vengono a prendere 10-15 kg di pasta per un periodo che dura più o meno un mese e mezzo.
Quindi biodiversità chiama biodiversità, dal punto di vista di rapporti, relazioni, non solo vegetali e animali, ma anche umane, di interazione con il territorio. Che rapporti avete con la rete di altri sistemi agroforestali, italiani e non, e qual è quello che reputate essere il vostro ruolo, in che modo contribuite o ricevete contributi di vario tipo?
Ci sono delle chat di agroforestatori, quindi ogni giorno ci si scambia immagini e video. Ci sono anche in Sardegna diversi amici con cui abbiamo, per esempio, organizzato corsi condivisi. Inoltre ci sono tante realtà, anche se non vicinissime, con una sensibilità che si va a riflettere in tante altre cose, non solo nell’agricoltura, ma proprio nel come si vede la vita, con cui non è difficile fare amicizia. L’anno scorso abbiamo fatto un giro, una sorta di circumnavigazione della Sardegna, e ogni notte dormivamo da un contadino diverso, per poter stare insieme almeno una giornata e condividere esperienze. È stato davvero molto bello.
Quali sono secondo voi i punti critici e i punti forti del vostro sistema?
Il progetto è talmente grande che non abbiamo abbastanza finanza. Uno degli esperimenti che vogliamo fare quest’anno è iniziare una fila completamente da seme, senza passare dal vaso, mettere l’ala gocciolante e seminare tutto, compreso le mandorle, magari mettendo 3-4 semi e poi tra quelle che nascono selezionare un pò. Un’altro esperimento che vogliamo provare è comprare un sacco di noci pecan e provare a seminarle in questo modo, vedendo come va rispetto a piantare la pianta di circa un anno. Vogliamo valutare se risulta essere più resistente, se riesce a sopravvivere, se riesce a passare il primo step, magari utilizzando un po’ di compost vicino per aiutarlo. Siamo fiduciosi di voler provare anche questo sistema, in modo di ridurre ancora di più i costi e riuscire a colonizzare più in fretta l’azienda.
Il punto debole è sicuramente la siccità. Da noi arriva l’acqua del consorzio di bonifica solo alcuni giorni a settimana, e a volte, per dei guasti, passa anche un mese, quindi risulta comunque inaffidabile. Quest’anno abbiamo fatto un pozzo che ci dà un po’ più di tranquillità, ma fondamentalmente ciò a cui puntiamo è riuscire ad arrivare a una situazione in cui c’è abbastanza humus da permetterci di passare l’estate senza dover irrigare o al massimo facendo una sola irrigazione di soccorso ad agosto. Insomma, l’obiettivo è quello di irrigare sempre meno.
Una delle difficoltà più grandi che di quest’anno è stata la realizzazione di un impianto di irrigazione. Abbiamo fatto la dorsale principale che attraversa tutta l’azienda con 500 metri di tubo e tutte le uscite ogni 6 metri, proprio per poter essere pronti ad aggiungere file. E questo è stato un bell’investimento, però almeno adesso abbiamo dappertutto la possibilità di agganciare un’ala gocciolante e creare una nuova fila. Questo grande lavoro è stato possibile grazie al crowdfunding, quindi grazie alle donazioni della raccolta fondi che ci hanno permesso di realizzare sia le linee per portare l’acqua all’area di campeggio e nelle file agroforestali.
Qual è, dal vostro punto di vista, la caratteristica che più rappresenta il vostro progetto agroforestale?
[Salvatore] L’unione con l’ospitalità, con i viaggiatori, cioè un sistema agroforestale dove il fulcro, gli attori principali saranno sempre i viaggiatori, perché comunque su 15 ettari solo io e Stefania non riusciremo a gestire anche tutto quello che è la gestione della biomassa, le potature. Per questo stiamo strutturando tutto sulla base che faremo ospitalità e una parte di questi ospiti verranno a scambio alla pari per darci una mano. Quindi sicuramente una caratteristica importante è che la nostra è un’azienda agrituristica. Già dall’estate prossima probabilmente apriremo con le piazzole dell’agricampeggio e le persone verranno coinvolte nell’attività dell’agroforestazione.
[Stefania] A noi piace fare condivisione. Condividere con gli altri in ogni modo, sia che vengano loro da noi per aiutarci, sia che siamo noi ad andare da loro, sia facendo i corsi, sia dando consigli ad altri che hanno aziende come le nostre. Questo è il nostro punto focale.
[Salvatore] In Sardegna non si danno facilmente informazioni o consigli, anzi capita qualche volta che ti diano anche consigli sbagliati appositamente. Invece noi cerchiamo un po’ di trasmettere questa voglia di dare informazioni per aiutare le persone. Abbiamo scoperto che più dai, più doni, più aiuti e più ricevi. Noi ci riteniamo persone molto fortunate, l’universo ci sostiene tantissimo perché tutto quello che possiamo lo diamo, tutto quello che c’è in più è subito regalato a qualcuno, destinato al sostegno di chi ne ha bisogno. Qualche volta rinunciamo anche noi per dare all’altra persona e davvero, ve lo posso assicurare, l’universo ripaga tantissimo. Quindi per noi questa è una cosa fondamentale, condividere sempre, dare, dare, dare.
[Salvatore] C’è anche un’altra cosa che volevo dirvi, vi faccio una confidenza pubblica. Tutto questo che sta succedendo è avvenuto grazie a una mia preghiera scritta. Un’amica praticante mi aveva detto di recitare il renge-kyo e io ho proprio scritto: “Desidero conoscere la donna della mia vita, desidero coltivare un terreno di almeno 15 ettari.” e neanche qualche mese dopo ho conosciuto Stefania. Vi assicuro che non è così facile che accada una cosa del genere.
Un sincero ringraziamento a Stefania e Salvatore per averci offerto il loro tempo e averci mostrato dove la passione, la dedizione e soprattutto la collaborazione possono portare.